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Foto Pubblicità – La Bottega del Gelato, Pisa

In un servizio fotografico nulla è lasciato al caso. Per quanto spontaneo possa apparire il risultato, anzi quanto più spontaneo appare il risultato.

Occorre innanzitutto un’idea, poi un soggetto da fotografare, poi un contesto dove il soggetto possa offrire il meglio di sé, i giusti mezzi per fotografare e un fotografo che li sappia usare…

Per ottenere il risultato cercato va seguita puntualmente la consecuzione logica di queste premesse, il resto poi viene da sé, o quasi.

Per la campagna pubblicitaria per i venti anni della Bottega del Gelato di Pisa mi sono chiesto quale sia il vero sentimento, quello ultimo, quando si gusta un buon gelato. Secondo me quello che si prova è un sottile e capriccioso distacco. Quello del gatto che mangia quando non ha fame e in tranquilla solitudine si gode il suo lusso, che per questi splendidi felini è il lusso di esistere.

Trasferire questa intuizione in uno scatto è stata la mission di questo servizio fotografico.

Con la collaborazione di Carlo Raffaelli, esperto di comunicazione efficace e PNL, abbiamo pensato che il modo migliore fosse quello di rivolgersi all’archetipo di tutti i tentativi di ricerca dell’identità operati dall’arte e dall’umanità contemporanea: il primo piano del volto. Non un’immagine che sapesse di surrealismo o fosse fantasmatica e visionaria, ma che sintetizzasse l’analisi serrata dei meccanismi rappresentativi e significativi dell’immagine fatta in questi anni nella comunicazione pubblicitaria.

Senza aver timore che potesse emergere un certo gusto, anche intellettualistico, per il doppio senso secco e spiazzante come un calembour e ricorrendo a tutti gli strumenti dell’arte del make up, realizzati con una perizia esecutiva anche più evoluta di quel che serva per esplicitare visivamente il meccanismo concettuale. La collaborazione con Max Moretto, make up artist & hair, ha permesso che il volto, semplicemente stupendo, di Aura potesse ottenere la giusta centralità nel ritratto, anche sotto le luci potenti dello studio fotografico.

Per realizzare questo servizio, dietro uno scatto in apparenza lineare, c’è tutto il processo riflessivo sulla fotografia nella comunicazione pubblicitaria, in una dimensione metarappresentativa che è la croce e la delizia di tutta la moderna immagine occidentale, dalla musica elettronica recomposed (https://youtu.be/8oYWfJuMGMA) al rewrite nipponico della visual novel (http://en.wikipedia.org/wiki/Rewrite_%28visual_novel%29).

Bisogna ammetterlo: l’ostentazione del piacere è uno dei tratti primari della nostra civiltà ma saperlo fare senza precipitare nel kitsch è ciò che distingue il bello dal resto.

Ciò che si vuole fotografare è come la materia delle cose, che si modificano, nel momento in cui vengono sottoposte a osservazione. Realizzare ogni scatto avendo presente che la sua resa può subdolamente mutare anche indipendentemente dall’abilità del fotografo è l’unica strategia che può preservare l’immagine dal giudizio impietoso del giorno dopo.

Togliere togliere togliere, limare, far restare solo l’essenziale: nulla, in definitiva, è più astratto del reale.

Lo strumento per tenere insieme quelle poche forme che rimarranno alla fine di questo processo di sottrazione e avvolgerle come in un liquido che le fa convivere anche se appartengono a realtà incoerenti è la luce. Luce che in uno studio fotografico diventa illuminazione.

Quello che abbiamo cercato per questo scatto era una luce tersa eppure intima, domestica ma sufficientemente distante, ed è stato ottenuto con una vibrazione di luce che soffia da sinistra rispetto all’osservatore.

Ma qui si entra troppo nel dettaglio, e permettetemi di rifugiarmi dietro i consigli che Ovidio dava alle donne: “rimanga segreta l’arte che vi rende belle”.

Ringrazio Carlo Cafferini per le immagini di backstage.

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